Il senso del limite

via donna olimpia

di A. Brandimarte

Le notizie è di oggi: il Sindaco e la sua amministrazione stanno per chiedere ai romani di spazzare il marciapiede davanti case e negozi.

Contemporaneamente la Procura avvia indagini sull’omessa raccolta dei rifiuti e l’associazione Presidi minaccia la non riapertura delle scuole per motivi sanitari.

Mettiamo in fila le tre cose e diciamolo una volta per tutte.

Questo Sindaco non è all’altezza della situazione e non perché l’immagine di Roma sia stabilmente associata alla sporcizia: ma perché non ha il senso del limite.

Si, perché solo chi non ha senso del limite chiederebbe ai propri elettori, in un quadro così disastroso di pulire la pubblica via.E non perché i romani siano degli indolenti cialtroni,al contrario . Qui a Roma , c’e gente generosa disposta a sporcarsi le mani per il bene Comune. Basta pensare a quello che ogni giorno fanno i Retakers e le altre associazioni civiche.Ciò che si propone è prima di tutto un insulto a loro.

Ora, diciamola tutta, questo Sindaco senza senso , del limite ovviamente, non solo si mostra non all’altezza, ma sta facendo qualcosa in più.

Ci annuncia, involontariamente , quello che potrebbe essere l’esito di dell’azione di questo Governo nazionale. In altre parole fa un pessimo servizio alla sua parte politica.

Certo , a qualcuno ció  potrebbe sembrare un buon affare ma Roma, la nostra capitale, non può essere pensata come area di annientamento di una forza politica.

Per cui , chi può stacchi la spina all’illimitato sindaco di Roma,Virginia Raggi.

O tra breve ne condividerà le responsabilità

 

 

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Il Presidente Mattarella e la “felicizia”

Ho potuto ascoltare il discorso del Presidente Mattarella, ne ho letti ampi resoconti. Condivido tutto,  sia il contenuto che l’autorevole garbo,  e tra le diverse osservazioni giornalistiche fatte , una mi ha colpito più di tutte , quella di Enrico Mentana . Lui scrive: “Chi ha visto in Mattarella il capo dell’opposizione non ha capito niente. È il guardiano della democrazia, e della comunità. Chi nel governo è insofferente ai vincoli dell’arbitro in realtà non sopporta le regole, chi invoca l’arbitro come freno alla maggioranza ammette di non saperlo fare da solo”.

Forse ne ha per tutti il Presidente, sia per il governo sia che per chi oggi ad esso si oppone . Infatti,  se da una parte parla esplicitamente di chi gratta il fondo del barile  delle paure , dall’altra, in maniera più sfumata, si coglie l’accenno a chi fa , come dice Mentana, il tifo per l’arbitro.

Devo immaginare, al netto di quel che sappiamo, che forse questi anomali tifosi, tra cui  anch’io , non entrano in campo come dovrebbero perché non stimano a sufficienza la propria parte. Perché non la sentono capace di offrire coesione e organizzazione al proprio e all’altrui dissenso.

Un deficit di autostima, di vicinanza, di amicizia in definitiva. Uno status che va assolutamente colmato. E qui, ancora una volta , il Presidente ci viene in aiuto, parlando di valori antichi con una parola inventata da una bambina : “ felicizia “ .

Un misto di ottimismo ed affidamento tra chi ha buone intenzioni comuni. Un qualcosa che consenta, a chi si ritrova nei valori della vicinanza e della tolleranza, di organizzarsi cercando ciò che unisce e non quel che divide. Qualcosa che consenta a tutti noi di sbarazzarsi della rabbia, della frustrazione,dei personalismi, delle furbizie idiote.

Che ci consenta di scendere nuovamente in campo usando per il bene comune i mezzi che questo tempo ci offre. Senza abbandonarli a chi della rabbia, della paura e dell’insicurezza fa un motore potente. Impariamo a praticare quel che suggerisce questa nuova parola .

Oggi  per dire insieme la nostra , domani per batterci efficacemente ed a viso aperto contro ciò che ancora una volta esce dal fondo del barile.

Alfeo Brandimarte

[L’intervista] Cantone: “La gente mi chiede: arrestateli tutti. Ma per sconfiggere la corruzione la cura è un’altra”

Dialogo con Raffaele Cantone da 4 anni alla guida dell’Anac: “Rispetto al passato la corruzione ha cambiato veste. Ai tempi di Tangentopoli interessava soprattutto la politica. Oggi, non essendoci più grandi organizzazioni come i partiti a regolare la vita pubblica, la corruzione interessa soprattutto la burocrazia, che ha in mano i veri poteri decisori. Naturalmente questo non vuol dire che nella politica non ci sia più corruzione, ma numerose inchieste hanno mostrato che chi corrompe per avere un provvedimento di favore ha più interesse a prezzolare un dirigente piuttosto che un assessore”

Raffaele Cantone, da quattro anni alla Autorità nazionale anticorruzione, nel suo ultimo libro “Corruzione e Anticorruzione- 10 lezioni” scrive: “Molte persone hanno capito che la corruzione è davvero un problema grave per il nostro Paese; però, molti di coloro che mi si avvicinano accompagnano all’incitamento, alle congratulazioni, agli auguri, alle manifestazioni di vicinanza una sorta di invito, assolutamente in buona fede, ‘Arrestateli tutti’. Nei primi tempi a qualcuno ho provato a spiegare che non possiamo arrestare nessuno perché non è questo il nostro compito. Mi rendo però conto che dietro questa frase, in apparenza semplicistica, che qualcuno potrebbe considerare persino populista e giustizialista, vi è una forte e sincera richiesta di giustizia, forse persino di rivalsa sociale, nei confronti di chi si è arricchito sfruttando una posizione pubblica che avrebbe dovuto, invece, essere utilizzata nell’interesse di tutti”.

Che cosa si intende con “anticorruzione”?

L’anticorruzione è l’insieme degli strumenti che lo Stato mette in campo per arginare la corruzione. C’è la repressione, affidata alla magistratura, che si basa sulle misure penali e agisce a valle, ovvero quando un reato si è già consumato. E c’è la prevenzione, la cui competenza è demandata all’Anac, che invece opera a monte attraverso una serie di “accorgimenti” e misure organizzative all’interno della Pubblica amministrazione, con l’obiettivo di evitare che si verifichino illeciti. Quindi, per semplificare, potremmo dire che è a suo modo una “scommessa”.

Perché una scommessa?

Come prima cosa perché la prevenzione della corruzione, di cui si occupa l’Anac, nasce con la legge Severino del 2012 quindi è molto recente. Inoltre perché capovolge l’idea tradizionale di contrasto alla corruzione alla quale siamo sempre stati abituati:quando si è verificato un reato e interviene la repressione, le amministrazioni sono oggetto dell’intervento del giudice penale. Semplificando: “hai rubato, quindi ti arrestano”. Tangentopoli ha dimostrato però che le manette non bastano per sradicare mali antichi. Nella prevenzione, quindi, è l’amministrazione stessa ad adoperarsi per scongiurare il rischio di episodi illeciti. Ovvero: “faccio in modo che non si rubi, così non serve arrestare nessuno”.

Il vantaggio qual è?

Ricorda quella pubblicità? “Prevenire è meglio che curare”. Il vantaggio è infatti duplice: non si deve scoprire nessun reato (e da magistrato posso assicurare che non è per nulla facile!) e soprattutto non si crea nessun danno alla collettività. Infatti ammesso che un corrotto venga condannato, ed è tutto da dimostrare che ci si riesca, il danno ormai è fatto comunque: puoi anche far marcire in galera il responsabile e farti restituire i soldi che ha intascato illecitamente, ma il viadotto costruito col calcestruzzo depotenziato resta lì.

Quali sono i problemi principali nella prevenzione? E dove funziona meglio?

Per legge tutte le amministrazioni devono dotarsi di un Piano anticorruzione, da aggiornare annualmente, prevedendo una analisi del rischio di corruzione che c’è in ogni settore e i rimediorganizzativi predisposti per evitare che ciò accada. Purtroppo, però, queste misure non sono sempre comprese in tutta la loro utilità e talvolta vengono viste solo come un adempimento o un aggravio burocratico. Più in generale, il grande problema è quello di una macchina amministrativa che fa fatica ad adeguarsi, quindi la prevenzione della corruzione funziona meglio nelle amministrazioni più rodate, tendenzialmente di più al Nord, e in alcuni ministeri. Funziona meno bene in quelle realtà dove ci sono problemi maggiori, come quelle amministrazioni locali del Sud in cui, senza generalizzare, ci sono problemi di criminalità organizzata e una classe burocratica non sempre all’altezza.

Tra i metodi per contrastare la corruzione c’è la rotazione dei dirigenti. Che trova però molte resistenze…

La rotazione è uno strumento indispensabile per impedire che si formino pericolose incrostazioni di potere. Inoltre può iniettare forze fresche ed entusiasmo nella macchina amministrativa, perché svolgere la stessa mansione troppo a lungo può diventare demotivante. Mettiamo che in un Ufficio cruciale, come quello che si occupa di licenze edilizie, c’è sempre la stessa persona da vent’anni: per carità, magari è integerrima, ma non sarebbe comunque più salutare un avvicendamento periodico per non correre rischi? Non sarebbe meglio evitare di creare la figura del “detentore unico” di certe competenze? Nell’impresa privata questi meccanismi esistono da sempre, mica se qualcuno si rompe una gamba e non va al lavoro per sei mesi, si blocca il settore!

Che consiglio darebbe a un’amministrazione che deve effettuare la rotazione?

Credo sia una questione di metodo che si può risolvere col buonsenso. Fare una rotazione “selvaggia”, avvicendando tutti nello stesso momento è un suicidio. Ma se la si fa gradualmente, prevedendo un apposito periodo di affiancamento, è possibile creare le condizioni migliori per il passaggio di consegne.

Passando all’aspetto penale, qual è la “terra di mezzo” che partecipa alla corruzione?

Rispetto al passato la corruzione ha cambiato veste. Ai tempi di Tangentopoli interessava soprattutto la politica. Oggi, non essendoci più grandi organizzazioni come i partiti a regolare la vita pubblica, la corruzione interessa soprattutto la burocrazia, che ha in mano i veri poteri decisori. Naturalmente questo non vuol dire che nella politica non ci sia più corruzione, ma numerose inchieste hanno mostrato che chi corrompe per avere un provvedimento di favore ha più interesse a prezzolare un dirigente piuttosto che un assessore. Questo meccanismo, inserito in una struttura priva di anticorpi, ha reso pezzi dell’amministrazione pubblica aggredibili dai sistemi corruttivi: ecco perché lavorare sulla prevenzione diventa ancora più importante.

Esiste una cultura dell’anticorruzione?

Di sicuro manca la “cultura del danno”. La corruzione sembra toccare pochissimo il cittadino comune, nella convinzione che non cambi granché se qualcuno prende una tangente per assegnare dei lavori pubblici a una ditta anziché a un’altra. Invece dovremmo partire dalla centralità del bene pubblico, ovvero dalla considerazione che se qualcuno ruba risorse dello Stato, sta derubando tutti.

E negli uffici pubblici?

Purtroppo non sempre la Pubblica amministrazione è consapevole dell’importanza delle attività anticorruzione. Di conseguenza certe norme sono poco comprese nella loro utilità e non vengono gestite con la dovuta attenzione. Come dicevo prima, se la redazione del Piano anticorruzione viene vissuta soltanto come una iattura, anziché come un’opportunità per lavorare in un ambiente più sano e meglio organizzato, è ovvio che il risultato sarà consequenziale. Il vero problema è che abbiamo un’amministrazione invecchiata,colpita pesantemente dalla spending review e dal blocco del turn over. Non fare concorsi vuol dire rinunciare all’iniezione di forze fresche, motivate e dalle adeguate competenze digitali.

Pubblica amministrazione sempre più vecchia e scarsa cultura dell’anticorruzione: i due aspetti sono legati?

Certo. C’è un tema generale di mancata modernizzazione dell’amministrazione su cui si è innestata la richiesta di ulteriori adempimenti da parte del legislatore, come nel caso della legislazione anticorruzione. Rispetto a questa situazione, la reazione di una parte della Pa è stata quella di chiudersi a riccio e dire: “Ma che altro volete? Questo non serve a niente, è una perdita di tempo”. Con questo intendo dire che si è fatto poco o nulla, in termini di investimenti, per modernizzare seriamente gli uffici pubblici e valorizzare le energie migliori.

È una situazione irreversibile? 

Nient’affatto, bisogna però introdurre criteri meritocratici senza dare per scontato che il posto sia garantito a vita a prescindere dall’impegno. È una questione di equità, soprattutto in un momento storico in cui, nel settore privato, a chi cerca un’occupazione vengono sempre più spesso poste condizioni assai disagevoli. Nessuno pretende un arretramento in tema di diritti, ma il lavoro nel pubblico impiego non può neppure essere il luogo dove si viene pagati per scaldare le sedie. Ribadisco: a mio avviso ci vorrebbe il coraggio di investire in una forte iniezione di gioventù ed entusiasmo all’interno dell’amministrazione.

LE NOTTI INSONNI DI GIGGINO DI MAIO

LE NOTTI INSONNI DI GIGGINO DI MAIO

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di Elia Fiorillo

Giggino Di Maio se potesse i sondaggi elettorali li cancellerebbe dalla faccia della terra. Non può farlo però. E ogni santo giorno deve subirsi la puntata esasperante di quei “numerini” che gli stanno rovinando la vita. Per i Pentastellati l’attuale 27,3 per cento, a fronte del 26,5 rilevato il 26 novembre, dovrebbe andare bene. C’è l’aumento! Il tutto però va raffrontato alla Lega di Matteo Salvini ed è qui che cominciano i mal di pancia. L’uomo Padano per antonomasia, diventato Italiota per opportunismo, si assesta a quota 32 per cento e anche stavolta, sia pur dell’05% rispetto ai sondaggi precedenti, è in crescita.

La domanda che Luigino si pone ormai da tempo è come cambiare rotta. Come uscire da una situazione che premia sistematicamente la Lega e punisce i 5Stelle. Ogni tanto gli torna in mente il “no” avuto dal Pd all’ipotesi di contratto. Forse le cose sarebbero andate diversamente per entrambi i partiti se ci fosse stata l’intesa. Chissà. Comunque, al di là dei ricordi e rimpianti di un passato che fu, resta un brutto presente che vede Salvini sempre più vicino ad entrare da Capitano-Comandante a Palazzo Chigi e Giggino, senza stelle sul petto, buttato fuori dai palazzi dei bottoni, ma anche da quelli di proprietà M5S. La data delle Europee si avvicina e la risalita, o rincorsa che dir si voglia, sarebbe dovuta iniziare da tempo. Comunque, per Di Maio “o adesso, o mai più!”.

Ci sta pensando Giggino a mandare a gambe all’aria l’intesa con la Lega, ma bisogna andarci cauti, bisogna che lo strappo avvenga per ragioni fondate. O, meglio, per motivazioni che gli italiani leggano a favore del suo MoVimento. Perché potrebbe essere anche l’incontrario. E, cioè, che una spaccatura desse la sponda al partito di Salvini di crescere ancora di più.

Sì, proprio una roulette russa, che però va giocata fino in fondo, anche per non avere rimpianti un domani. E proprio in base, probabilmente, a queste considerazioni che è iniziata la guerra. A Di Maio e compagni è andata a fagiolo la vicenda delle indagini della magistratura relative ai presunti reati di finanziamento illecito ai partiti commessi, tra gli altri, dall’attuale tesoriere della Lega, il deputato Giulio Centemero. La storia è legata ai circa 49 milioni di rimborsi elettorali utilizzati da Umberto Bossi e dall’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, per spese personali. Una brutta vicenda che la Lega avrebbe dimenticato con piacere, ma che è ritornata alla ribalta dando la possibilità a Luigino di levarsi un po’ di pietre dalle scarpe. “Chiederò chiarimenti a Salvini – dichiara Di Maio -, sono certo che non minimizzerà”. Anche il presidente della Camera Fico usa l’argomento contro gli alleati. Ci aggiunge il “no” alla Tav e la sua contrarietà al referendum proposto da Salvini. La guerra c’è e si vede, anche se il Capitano non ha nessuna intenzione di rispondere, o di rompere, agli attacchi degli alleati. Non gli conviene. Sta usando la stessa tattica già sperimentata con Silvio Berlusconi. Il Cavaliere si agita, minaccia, fa la voce grossa e il Matteo padano, sempre pronto alle guerre guerreggiate e all’insulto folgorante, fa finta di niente. Le orecchie le ha turate. Gli altri vorrebbero pretesti per attaccare, per farsi sentire, ma lui non ne dà, rimane “silente e sorridente”. E perché dovrebbe aiutare gli avversari nel momento a lui più favorevole?

All’incontrario Di Maio qualcosa si deve inventare subito per provare a ribaltare la situazione. Il tanto strombazzato reddito di cittadinanza potrebbe essere il grimaldello per “scassare il governo”. Dopo tanto blaterare sui benefici propulsivi del “reddito di cittadinanza”, Giggino sta correndo il rischio di vederselo quasi cancellato. Trecento euro sono quisquilie, pinzillacchere, come le avrebbe definite Totò.

Se Luigi si decide a “scassare” il presidente Mattarella è certo che non scioglierà le Camere. Ne è pensabile che il Capo dello Stato dia un incarico politico. Con molta probabilità metterà in campo un governo tecnico attento soprattutto allo spread ed ai problemi connessi. Non avendo più la responsabilità di governo il MoVimento potrà sparare all’impazzata sia sull’incapacità dei tecnici a Palazzo Chigi, sia sulle responsabilità dell’ex alleato Salvini. Ma tutto ciò porterà voti? Non è detto, anzi potrebbe essere l’inverso.

http://www.malitalia.it/2018/12/le-notti-insonni-di-giggino-di-maio/

Cosa chiedere ad un futuro Sindaco di Roma

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Cosa vogliamo e cosa ci immaginiamo per il futuro di Roma e soprattutto cosa si chiede al Sindaco della capitale d’Italia.

Ecco alcuni paletti:

  • Un Sindaco che arrivi in Campidoglio e non scopra, ex post, come è messo il bilancio, quali sono i problemi della città, i punti delicati
  • Che affronti il problema delle partecipate: un problema che implica i rapporti con aziende come Zetema, gli accordi nel settore trasporti o nella Multiservizi.
  • Che capisca che la macchina amministrativa è il suo braccio operativo ma che, ad oggi, è una macchina faticosa a causa della mancanza del turn over e dell’età media. A queste due cose si aggiunge la mancata informatizzazione che è il motore di una Pubblica Amministrazione efficace.
  • Che sappia mettere a frutto le norme dell’anticorruzione senza che sia, come lo è ora, un ennesimo passaggio burocratico. Norme che vanno applicate anche ai 24 mila dipendenti dell’Amministrazione ( considerato che ad oggi non possono essere spostati di ufficio se non per loro richiesta creando disparità di presenza tra dipartimenti e municipi). Per esempio non si possono solo cambiare i dirigenti apicali di un settore senza incidere sulla struttura.
  • Che sappia dialogare con la comunità, parti sociali-privati-imprenditori, per creare una circolarità di intenti che favorisca la crescita, limiti le infiltrazioni criminali (es. a Milano Sala cooperando con un privato ha messo su la Biblioteca dell’albero e il municipio ha investito solo una minima percentuale per l’operazione).
  • Che sul ciclo dei rifiuti sia cosciente che Roma non lo ha o comunque non è completo e che sia capace di proporre soluzioni alternative (efficaci ed efficienti) come la messa a gara di pezzi del ciclo passando anche dal concetto di rifiuto a risorsa.

 

QUANDO LA POLITICA NON ERA…UN ASCENSORE

Lettera di Elio, ex dirigente nazionale Fiom
Mi chiedo cosa ne pensano i giovani della politica. O meglio cosa abbiamo trasmesso ai giovani, quale immagine gli abbiamo consegnato. La mia generazione, quella dei “ ragazzi del 68 “, immersi nella politica, credo, anzi sono certo, che su questo punto abbiamo fatto un cattivo servizio ai nostri figli. Eppure ci siamo battuti per degli ideali alti.
Eppure abbiamo dato una scossa ad una società civile e politica che si muoveva in schemi rigidi, anchilosati. E’ stata una rivoluzione culturale. Ed è stata cosa buona e giusta. E’ stata anche una battaglia generazionale. Cosa di per sé fisiologica di tutte le epoche. Eppure i nostri genitori, in genere sposatisi tardi perché impegnati sui fronti di guerra, mica erano così male !! Anzi.
Mio padre Arturo, nono figlio di 10, di una coppia di artigiani, a 19 anni arruolato volontario, poi in Libia, poi prigioniero, poi evaso dal campo di concentramento per un anno, poi catturato dall’Intelligence Service, poi prigioniero in Sud Africa, decorato al valor militare etc, mica era uno senza carattere, senza personalità. Anzi.
Tornato dalla prigionia si era impegnato in politica, nel Partito Socialista. Ma a quell’epoca essere socialista era un danno per la vita, per la carriera. Si pagavano dei prezzi. Mica come oggi !! Altro che ascensore sociale, finivi in cantina.In divisa da vigile urbano, negli anni 50 e 60, faceva la diffusione dell’Avanti, il giornale storico dei socialisti. E mica era una roba da poco.
La giunta era “ Stella e Corona “ , monarchica, ed il sindaco era il Colonnello Salomone , che ogni tanto lo faceva chiamare, per provvedimenti disciplinari, e lui rispondeva “ dite al colonnello che il sergente Troili è impegnato “. Roba da matti oggi!
Fece causa al Comune perché l’avevano discriminato in un concorso per brigadiere e vinse la causa, ma passò a fare l’impiegato comunale perché, dopo, vinse un altro concorso. Era in pratica un autodidatta. Terza avviamento industriale, citava passi di Dante a memoria, parlava francese, inglese ed arabo. I libri li divorava.
A 48 anni, 50 anni fa, un tumore lo ha portato via. Ed io figlio l’ho contestato. Ed era più moderno di me.
La mia generazione di padri, ormai nonni, non è stata contestata. Ormai i nostri figli sono quarantenni. La maggior parte li sento disillusi della politica, anche se non l’hanno mai fatta. Cinici addirittura alcuni. Comunque non disponibili ad impegnarsi. Senza passione.
Questo è il danno maggiore, perché da questa assenza, da questo vuoto di impegno, si lascia spazio a chi utilizza la Politica come ascensore sociale, per arricchirsi.
Ma non è colpa loro. Abbiamo sbagliato noi.