Le madri dell’Europa

di Eliana Di Caro 08 marzo 2019

981976-kOYB--1170x507@IlSole24Ore-Web.jpgSimone Veil nei primi anni 70, quando era ministro della Sanità in Francia. Nel 1979 sarebbe diventata la prima presidente del Parlamento europeo

Non vengono subito alla mente, sovrastate dai Padri che indiscutibilmente ebbero un ruolo centrale nella costruzione dell’Europa. Un ruolo centrale ma non esclusivo, a dispetto della foto della firma dei Trattati di Roma, nel ’57, dove campeggiano solo uomini. Il saggio di Pia Locatelli, all’interno del corposo e istruttivo volume L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e conquiste, restituisce ad alcune figure femminili l’importanza e il valore che meritano nel processo di edificazione dell’Europa.

Se tutti o quasi, infatti, conoscono Alcide De Gasperi, Jean Monnet o Konrad Adenauer – sostiene l’autrice (socialista, già parlamentare europea e poi italiana) – pochi sanno chi sono e che cosa hanno fatto Ada Rossi, Eliane Vogel-Polsky, Louise Weiss, Simone Veil, Fausta Deshormes e le altre che, nel Parlamento e nelle istituzioni comunitarie, si sono spese e hanno contribuito al varo di progetti, direttive e provvedimenti per l’affermazione di diritti e pari opportunità nei Paesi membri.

Ursula Hirschmann «fu di certo la prima. Moglie del socialista Eugenio Colorni – scrive Locatelli – lo seguì quando venne mandato al confino a Ventotene per le sue idee antifasciste. Dopo aver contribuito alla stesura del Manifesto, non essendo oggetto di provvedimenti restrittivi, rientrò dall’isola portando con sé il testo del documento, scritto a matita su carta leggera e calligrafia minuscola; grazie all’aiuto delle sorelle di Altiero Spinelli, Gigliola e Fiorella, e di Ada Rossi, iniziò a diffonderlo negli ambienti antifascisti. E fu proprio assieme ad Ada, moglie di Ernesto Rossi, conosciuta durante le sue visite a Ventotene, che organizzò nel 1943 la prima riunione costitutiva del Movimento federalista a Milano: si concluse con l’approvazione delle sei tesi politiche che traducono in proposte concrete le idee di Ventotene. Nello stesso periodo contribuì alla diffusione delle teorie europeiste collaborando alla redazione e diffusione del foglio clandestino “L’Unità Europea”». Donne non solo mogli di personalità politiche e intellettuali, ma consapevoli interpreti di un’azione che avrebbe cambiato il corso della Storia.

Nel saggio si ricostruisce la personalità di Simone Veil, prima presidente del Parlamento europeo dal ’79, in precedenza ministro della Sanità del gabinetto Chirac: porta la sua firma la legge francese del 1974 sulla regolamentazione dell’aborto. Si spiega come la presenza femminile a Strasburgo, numericamente quasi insignificante all’inizio, sia cresciuta e abbia inciso sull’agenda politica. Si descrive l’intensa attività delle esponenti socialiste, poi confluite nel Pes Women, e delle campagne e iniziative politiche di cui si sono fatte promotrici, dalla lotta contro la violenza sulle donne alle battaglie per il gender equity budgeting. Temi e figure di cui si parla poco, la cui conoscenza andrebbe incentivata, per poter alimentare un ulteriore sviluppo su questo fronte.

Il saggio di Locatelli si inserisce in una serie di approfondimenti, curati dalla Fondazione Nilde Iotti, che mostrano come sia stata lunga e faticosa la strada per la codificazione del rapporto tra donne e democrazia in Italia, dalla conquista del voto alle riforme che hanno modernizzato la nostra società.Non ci si deve stancare di ricordare, a questo proposito, la grandezza di una personalità come Tina Anselmi, giovanissima staffetta partigiana e protagonista in governi che hanno approvato la legge di parità sul Lavoro nel settore pubblico e istituito il Servizio sanitario nazionale (qui lo fanno, anche con intensità emotiva, Rachele Acquaviva Filippetto, Rosa Russo Jervolino, Carole Beebe Tarantelli e Piera Amendola). Allo stesso modo è tratteggiato ed efficacemente reso da Mariapia Garavaglia il ruolo di Nilde Iotti, anche rispetto a situazioni che si tende a sottovalutare a beneficio di altre (come la riforma del diritto di famiglia del ’75): proprio in tema d’Europa, viene ad esempio sottolineato da Rita Palanza l’impegno comunitario della parlamentare comunista, unica donna a far parte nel 1969, cioè prima dell’istituzione del voto diretto, dei sette delegati del Pci a Strasburgo, e poi sostenitrice di una Unione Europea che «offra nuove frontiere di rinnovamento e di crescita, oggi non consentite negli spazi angusti degli Stati nazionali, stretti da troppi vincoli che ne limitano la sovranità», come affermò alle Assise europee di Roma nel 1990.

Nel volume trovano spazio le 21 costituenti – ritratte da Maria Teresa Antonia Morelli – che si batterono unite, pur nella diversità delle formazioni politiche, su temi come l’uguaglianza, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la parità retributiva, l’accesso delle donne alle professioni. Interessante il capitolo di Elena Riva dedicato a Laura Bianchini, costituente democristiana vicina a Giuseppe Dossetti non particolarmente nota, secondo la quale la formazione di un individuo comincia nella scuola per l’infanzia, da non ritenere dunque un semplice luogo di assistenza, così come nelle scuole professionali va curata anche la dimensione umana e spirituale degli studenti.

Non è possibile qui citare, come si vorrebbe, tutti i contributi di un volume che non guarda esclusivamente al passato ma illustra anche l’evoluzione, in termini giuridici e culturali, di questioni che sono indice del progresso di un Paese, come fa Donata Gottardo nel saggio su Maternità, lavoro e welfare: «Tutto sta cambiando nel lavoro, nella società e nella famiglia. (…) Eppure – osserva – tuttora il tema della conciliazione tra vita professionale e vita lavorativa riguarda prevalentemente le donne». Un libro da cui partire per non fermarsi agli obiettivi raggiunti (senza darli per acquisiti) e puntare con consapevolezza ai prossimi necessari traguardi.

https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2019-03-04/le-madri-dell-europa-111240.shtml?utm_term=Autofeed&utm_medium=TWSole24Ore&utm_source=Twitter#Echobox=1552057901

 

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Il parlamento europeo intitola lo studio radiofonico ad Antonio Megalizzi

Il ricordo del giovane giornalista vivrà attraverso la loro passione per la radio e l’informazione negli studi di Strasburgo

By ANSA

Lo studio radiofonico del Parlamento europeo a Strasburgo sarà intitolato ai due giovani giornalisti di Europhonica Antonio Megalizzi e Bartek Orent-Niedzielski uccisi nell’attentato ai mercatini di Natale a dicembre. La cerimonia si terrà all’Eurocamera a Strasburgo lunedì prossimo 11 febbraio. I caporedattori di Europhonica Caterina Moser, Clara Stevanato e Andrea Fioravanti incontreranno i giornalisti per presentare il progetto.

“A due mesi dall’attentato di Strasburgo, verrà intitolato, come avevo proposto, lo studio radiofonico del Parlamento europeo ad Antonio Megalizzi e Bartek Orent-Niedzielski. Ne sono felice e commossa”, ha dichiarato Silvia Costa, europarlamentare del Pd, precisando che nello stesso giorno, sempre al Parlamento Europeo si terra una “conferenza stampa insieme ai giovani giornalisti colleghi di Antonio Megalizzi per annunciare che Europhonica, il progetto promosso da RadUni e dai network delle radio universitarie europee, tornerà ad accendere i suoi microfoni”.

Costa ritiene “importante e significativo sostenere un’esperienza come questa che parla di Europa alle nuove generazioni ed è per questo che nel nuovo programma Europa Creativa 2021/27 ho proposto una nuova linea di sostegno a network di radio universitarie europee. Mi auguro che questa diventi la volontà comune di tutte le forze politiche in Parlamento”.

https://www.huffingtonpost.it/2019/02/11/il-parlamento-europeo-intitola-lo-studio-radiofonico-ad-antonio-megalizzi_a_23666615/?ncid=tweetlnkithpmg00000001

Europee, tutte le informazioni sul voto in un unico sito Ue

Europee, tutte le informazioni sul voto in un unico sito Ue

Il Parlamento europeo lancia elezioni-europee.eu Roma, 25 gen. (askanews)

A quattro mesi dalle elezioni europee, il Parlamento europeo ha lanciato un nuovo sito web che spiega come votare in ogni Stato membro o dall’estero. La versione italiana del sito è https://www.elezioni-europee.eu/ Il sito web è stato progettato per aiutare le persone a trovare tutte le informazioni rilevanti di cui hanno bisogno in un`unica piattaforma. È la prima volta che il Parlamento europeo offre uno strumento di questo tipo per consentire a tutti di far valere il proprio voto alle elezioni europee. Le regole di voto nazionali per ciascun paese sono spiegate in formato Q&A (domande e risposte) e comprendono informazioni sulla data delle elezioni, i requisiti di età richiesti per votare, i termini di registrazione, i documenti necessari per iscriversi al voto, nonché le soglie per i partiti politici, il numero totale di deputati da eleggere per Paese e gli indirizzi web delle autorità elettorali nazionali. Il sito web fornisce risposte su ciascun Paese dell’UE nella lingua o nelle lingue ufficiali di quel paese e in inglese. Il sito web offre informazioni anche su come votare dall’estero (da un altro paese dell’UE o da un paese terzo) o per delega. Ciò potrebbe essere particolarmente importante, ad esempio, per i circa 3 milioni di cittadini dell’UE che risiedono nel Regno Unito. Il sito web contiene anche una sezione “domande e risposte” sul Parlamento europeo, sui candidati principali e su cosa succederà dopo le elezioni, la possibilità per i cittadini di essere coinvolti attivamente nella campagna di informazione sulle elezioni, una sezione con notizie relative alle elezioni dal sito web principale del Parlamento, un link alla pagina dei risultati elettorali, link ai siti web dei gruppi politici del Parlamento europeo e dei partiti politici europei. Red/Bea 251418 gen 19

https://www.elezioni-europee.eu/?fbclid=IwAR2hp2cSaqfxRfdWnS-_mCqj4rxL1_4KV4fvuNWZhX06rfHRg0WlCtYPa5c

Così la Ue ha salvato due perle della natura polacca

La torbiera del fiume Rospuda e Bialowieza, la foresta più antica d’Europa, sarebbero potute andare distrutte se nel 2004 Varsavia non fosse entrata nell’Unione. Solo grazie all’intervento del Parlamento, della Commissione e della Corte di giustizia europea, il Paese è riuscito a salvarle entrambe

di ADAM WAJRAK (GAZETA WYBORCZA), traduzione di MARCO VALENTI

Il link all’articolo di Repubblica:

https://www.repubblica.it/dossier/esteri/eu4you-europa-progetti-parlamento-ue/2019/01/25/news/polonia_cosi_la_ue_ha_salvato_la_valle_del_fiume_rospuda_e_bialowieza_la_foresta_piu_antica_d_europa-217469647/amp/?__twitter_impression=true&fbclid=IwAR3lgl0tOzjjheilTUn27BdwfGMCK7w3KVVkoa0YcsyYloBb-Fcw4KoHNBY

Jean Monnet

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Jean Omer Marie Gabriel Monnet nasce a Cognac il 9 novembre 1888 da una famiglia di produttori di cognac. All’età di 16 anni lascia la scuola per andare a Londra ad imparare l’inglese, e due anni dopo il padre lo invia all’estero per conto della ditta.
L’essere un imprenditore gli permette di entrare in contatto con un tessuto di relazioni con ufficiali, politici e giornalisti che gli saranno utili nella sua carriera politica cominciando dagli anni della Prima guerra mondiale da cui è riformato per motivi di salute.
Nel corso della guerra propone al Presidente del consiglio René Viviani un piano di coordinamento delle risorse degli alleati di cui diventa organizzatore venendo anche nominato dapprima delegato al Supremo consiglio economico interalleato, e nel 1919 vicesegretario generale aggiunto delle Nazioni Unite.
Dal 1923, Jean Monnet, torna ad occuparsi dell’azienda di famiglia, negli anni successivi (fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale) si dedica all’alta finanza internazionale.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale si adopera per impedire l’armistizio della Francia e per far trasferire il governo nell’Africa del Nord.
Nel 1940 Monnet, viene inviato negli Stati Uniti come rappresentate del governo inglese per negoziare una commessa militare, dal suo arrivo diventa un consigliere del presidente Franklin Delano Roosevelt.
Convinzione di Monnet era che l’America doveva diventare l’ “arsenale delle democrazie”, obiettivo raggiunto nel 1941 con la decisione di Roosevelt di realizzare il cosiddetto “Victory program”
Nel 1943 ad Algeri, fa parte del Comitato francese di liberazione nazionale come commissario all’armamento, all’approvvigionamento e alla ricostruzione; dopo la liberazione venne incaricato dal generale Charles de Gaulle di elaborare il Plan de modernisation et d’équipement dell’economia francese (detto piano M.), che fu adottato nel 1947, per modernizzare l’industria e l’agricoltura.
Con il risorgere di nuove tensioni internazionali, nel 1950 Monnet decise fosse venuto il momento di fare un passo in avanti verso l’unione dei paesi europei: elabora così il testo di quella che sarà la Dichiarazione Schuman che da il via alla Comunità economica del carbone e dell’acciaio, nel 1952 diventò il primo presidente dell’Alta Autorità della Ceca, vi rimase in carica fino al 1956.
Convinto federalista, dal 1956 al 1975 è stato presidente del Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, da lui proposto.
Il Consiglio delle Comunità europee gli assegna nel 1976 il titolo Cittadino d’onore dell’Europa.

Esercito Europeo

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Il 25 giugno 1950 le truppe della Corea del Nord (comunista), invasero la Corea del Sud. Gli Stati Uniti fino a quel momento erano stati abbastanza freddi sulle proposte europee di riarmo dei paesi ex-belligeranti, la prima delle quali veniva proprio dall’Italia che suggeriva un coordinamento europeo dei vari eserciti. Il 24 ottobre del 1950, dopo la richiesta americana del riarmo tedesco avanzata a fine settembre al Consiglio atlantico di New York, il presidente del Consiglio francese, René Pleven, propone la creazione di un esercito europeo in cui le varie unità nazionali siano integrate sotto un comando internazionale; la difesa dell’Europa non poteva essere condotta senza la partecipazione di un esercito tedesco.
La proposta di Pleven avviene dopo che la Nato spostò la linea da difendere fino all’Elba, rendendo in questo indispensabile la partecipazione tedesca in un eventuale nuovo conflitto, ma appunto la Francia per bocca di Robert Schuman si era opposta, da qui l’idea di un esercito di difesa comune.
Come per la Comunità economica del carbone e dell’acciaio, anche in questo caso il piano venne ideato da Jean Monnet e poi presentato a Pleven.
Monnet aveva pensato di comporre l’esercito europeo in 6 divisioni sotto il comando della Nato e gestito da un ministro europeo della difesa; tutte le nazioni avrebbero dato una divisione all’esercito europeo, mantenendo ovviamente anche un esercito nazionale (non la Germania).
Secondo il piano Pleven le forze armate europee dovevano avere una uniforme unica, essere reclutate attraverso un Commissariato unificato e quindi non reclutate dai vari stati singolarmente.
Per i francesi la CED serviva sostanzialmente ad evitare un riarmo tedesco, che non avrebbero accettato in alcun modo.

Integrazione Europea

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È il processo di integrazione industriale, politico, legale, economico, sociale e culturale di tutti o alcuni Stati dell’Europa. L’integrazione europea trova i suoi centri di propulsione nella UE e nel Consiglio d’Europa (da non confondersi con il Consiglio dell’Unione Europea)

 

Consiglio dell’Unione Europea

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Il Consiglio dell’Unione europea (denominato in questo modo dal trattato di Lisbona del 2007), noto anche come Consiglio dei ministri europei, in precedenza come Consiglio speciale dei ministri, detiene – insieme col Parlamento europeo – il potere legislativo nell’ambito dell’Unione europea. Ha sede a Bruxelles, nel Palazzo Justus Lipsius; dal 2017 la sua sede si è spostata nel nuovo Palazzo Europa.
Il Consiglio dell’EU è un organo decisionale essenziale dell’UE, adotta gli atti normativi dell’UE e ne coordina le politiche. Negozia e adotta gli atti legislativi, nella maggior parte dei casi congiuntamente al Parlamento europeo, mediante la procedura legislativa ordinaria, nota anche come procedura di codecisione.
Esercita la funzione legislativa in materia di:
– BILANCIO coordinando le politiche economiche e di bilancio degli Stati membri rafforzando così la governance economica nell’UE; controlla le politiche di bilancio dell’UE, si occupa inoltre degli aspetti pratici e giuridici riguardanti l’euro, i mercati finanziari e i movimenti capitali.
Il Consiglio adotta il bilancio dell’UE insieme al Parlamento europeo.
– ISTRUZIONE, CULTURA, SPORT, GIOVANI adottando i quadri politici ed i piani di lavoro in questi settori stabilendone le priorità per la cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione.
– POLITICA OCCUPAZIONALE elaborando orientamenti e raccomandazioni destinati agli Stato membri sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo sulla situazione dell’occupazione nell’Unione.
Elabora la POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA dell’UE in base agli orientamenti del Consiglio europeo. Comprende: gli aiuti umanitari e allo sviluppo, la difesa ed il commercio.
Conclude ACCORDI INTERNAZIONALI fornendo alla Commissione il mandato per negoziare a nome dell’UE accordi tra l’UE e paesi terzi e organizzazioni internazionali. Al termine dei negoziati, il Consiglio decide in merito alla firma e alla conclusione dell’accordo. Il Consiglio adotta, inoltre, la decisione finale sulla conclusione dell’accordo, una volta che il Parlamento europeo ha dato la sua approvazione e che l’accordo è stato ratificato da tutti gli Stati membri dell’UE.

Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) all’articolo 16 contiene le disposizioni relative al Consiglio dell’Unione e ne disciplina ruoli e funzionamento.
“Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattat”; “Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale,
abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”; “Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente; “A decorrere dal 1° novembre 2014, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’Unione”; […] “La presidenza delle formazioni del Consiglio, […] è esercitata dai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio secondo un sistema di rotazione paritaria, alle condizioni stabilite conformemente all’articolo 236 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Il Consiglio dell’UE non ha membri permanenti, ma si riunisce in dieci diverse configurazioni, ognuna delle quali corrisponde al settore di cui si discute. A seconda della configurazione, ogni paese invia i ministri competenti.

Molti errori ma il futuro è l’Europa

Molti errori ma il futuro è l’Europa

–di 

02 gennaio 2019

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Francoforte. 1° gennaio 1999 (Ansa)

Vent’anni è un periodo di tempo troppo breve per commentare la storia di un grande evento ma è anche un periodo troppo lungo per ricordarne tutti gli aspetti più significativi.

Questa regola vale anche per i vent’anni dell’Euro. Pochi oggi ricordano come l’Italia fosse allora quasi unanime, cosa rara nel nostro paese, nel volere entrare nel gruppo delle nazioni che intendevano adottare la nuova moneta. E che per raggiungere quest’obiettivo, avesse accettato l’imposizione dei necessari sacrifici con un’imposta straordinaria, poi restituita nei termini previsti: un’imposta chiamata quasi provocatoriamente «tassa per l’Europa».

Pochi ricordano la condivisa approvazione e il senso di orgoglio collettivo con cui fu accolto il nostro ingresso nell’Euro e quasi nessuno tiene conto di come si abbassò subito il tasso di interesse e il livello di inflazione, per cui si accesero mutui con un costo pari a un terzo di quello precedente. Di conseguenza cessarono subito le continue svalutazioni che erano state messe sotto accusa dai partner europei, non più disposti a sopportare i nostri comportamenti. Ben pochi oggi ricordano come fu ricevuto con generale approvazione il tasso di cambio ottenuto nei negoziati per l’entrata nell’Euro: novecentonovanta Lire per Marco. Un risultato vicino all’obbiettivo da tutti ritenuto ideale di mille lire per Marco, così da rendere la nostra economia più concorrenziale possibile di fronte a quella dei nostri partner europei, molti dei quali infatti ritennero che era stato fatto un regalo eccessivo all’Italia. E nessuno forse ricorda come l’adozione della nuova moneta sia stata accompagnata da rigorose regole di comportamento che obbligavano a rendere pubblico il listino dei prezzi dei beni sia in lire che in Euro e che prevedevano la costituzione di comitati provinciali deputati all’analitico controllo dei prezzi stessi. Ovviamente nessuno ricorda che il governo di centro-destra, a cui spettava l’obbligo di mettere in atto queste misure, non le volle affatto adottare, permettendo così un immediato e ingiustificato aumento dei prezzi che, è bene sottolineare, non riguardò soltanto il caffè al bar ma la generalità dei beni e dei servizi a cominciare, con mia grande sorpresa e disappunto, dal prezzo dei giornali. E, per finire con i ricordi, è opportuno sottolineare che questo ingiustificato e fraudolento rincaro sia avvenuto solo in Italia e in Grecia, mentre negli altri paesi entrati nell’Euro, i nuovi prezzi sono stati fissati seguendo in modo aritmetico il rapporto di cambio fissato.

Questa è stata una delle cause che ha fatto progressivamente mutare il giudizio di molti italiani sulla moneta unica: un cambiamento dovuto non all’Euro ma al modo in cui la sua applicazione è stata messa in atto in Italia. Il progredire dei successivi giudizi negativi si basa soprattutto sul fatto che l’aumento del PIL dei paesi che hanno adottato la nuova moneta è stato inferiore non solo alla crescita media mondiale ma anche a quella dei paesi a più alto livello di reddito come gli Stati Uniti. Un fatto incontrovertibile soprattutto negli ultimi dieci anni. Un fatto tuttavia non attribuibile all’Euro ma al cambiamento della leadership politica europea. Tutti infatti sapevano che una moneta comune doveva essere accompagnata da una politica economica comune. Più volte lo feci presente ai partner europei e ricordo la risposta del cancelliere tedesco Helmut Kohl che replicava: «Tu sei italiano e dovresti sapere che Roma non è stata fatta in un giorno», impegnandosi con questo alla successiva messa in atto di tutte le misure necessarie per fare crescere ed irrobustire l’Euro. Non è stato così. L’Unione Europea ha progressivamente visto prevalere gli interessi nazionali, rappresentati nel Consiglio Europeo, sugli equilibri sovranazionali faticosamente so sostenuti dalla Commissione. Non dobbiamo perciò sorprenderci che la forza degli interessi nazionali si sia tradotta nel dominio dei paesi più potenti, tra i quali l’Italia non ha trovato posto a causa del suo debito pubblico. Da un lato quindi abbiamo sofferto per una sciagurata politica di austerità, che ha adottato le regole di Maastricht in modo “stupido” (come ho più volte ripetuto ricevendo valanghe di insulti) e, dall’altro, i guai si sono moltiplicati per effetto di una politica italiana che pensava si potessero ignorare totalmente queste regole, mentre era invece possibile tenerne conto pur nel rispetto dei nostri interessi. Anche se non è forse carino, vorrei infatti ricordare che proprio dieci anni fa, quando lasciai il governo, eravamo riusciti a diminuire il nostro rapporto fra debito e PIL fino al livello di quello che ha oggi la Francia. Sarebbe stato almeno possibile non lasciarlo crescere fino al punto di essere considerati il ventre debole dell’Europa.

Il giudizio della storia sull’Euro non potrà essere evidentemente confinato in una prospettiva solo italiana. Gli avvenimenti successivi, soprattutto quelli degli ultimi anni, ci dimostrano che senza il pilastro della moneta unica (accompagnata naturalmente da una politica economica altrettanto unica) noi europei non avremo alcun futuro. Lo strapotere del dollaro e l’ascesa della Cina ci stanno semplicemente emarginando. A vent’anni dalla sua introduzione l’Euro rimane quindi una condizione fondamentale per la nostra sopravvivenza economica e politica. Una condizione per avere ancora un ruolo nella storia. All’inizio del nuovo anno ci auguriamo quindi che i nostri governanti siano in grado di interpretare la storia che incombe su di noi.
Economista, due volte premier italiano ed ex presidente della Commissione europea

 

 

Robert Schuman Padre dell’Europa

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Robert Schuman nasce a Lussemburgo da padre loreno di nascita francese, dopo l’annessione della Lorena alla Prussia (1871) diventa cittadino tedesco, e da madre lussemburghese da cui riceve una formazione cattolica.
Schuman cresce conoscendo due culture, quella tedesca e quella francese, la sua formazione lo porterà negli anni ad adoperarsi per il superamento delle incomprensioni franco-tedesche, nella difesa delle minoranze linguistiche e territoriali.
A Lussemburgo vive fino alla formazione secondaria, per gli studi universitari decide di andare in Germania e nel 1912, a Metz, apre un suo studio di avvocato. Qui fa conoscenza con il vescovo che ne apprezza subito il giovane avvocato, facendone il responsabile della Federazione diocesana dei gruppi giovanili.
Robert Schuman non prende parte al primo conflitto mondiale, dal quale è stato esonerato per motivi di salute. Al finire della Prima guerra mondiale comincia ad interessarsi di politica, nel 1918 diventa consigliere comunale a Metz.
Con l’armistizio del novembre 1918 l’Alsazia-Lorena passa dalla Germania alla Francia e nel 1919 con il 64% dei voti nel suo collegio, viene eletto per conto dell’Unione Repubblicana Lorena (partito moderato) al Parlamento francese come deputato della Mosella. Incarico che ricopre fino al 1940. I Deputati eletti al Parlamento nazionale hanno un importante compito: integrare il diritto vigente in Lorena con quello francese, difendendo le particolarità locali.
Nel 1931 lascia l’Unione Repubblicana che considera troppo conservatrice aderendo a PDP (democratici popolari), un nuovo partito che ha aderito all’internazionale democratico-cristiana guidata da Don Luigi Sturzo. Il programma del PDP prevede tra l’altro il diritto di voto per le donne.
Dal PDP esce però nel 1939 in disaccordo con il partito che si schiera con il Fronte repubblicano spagnolo nella guerra civile, perché stava perseguitando la Chiesa cattolica.
Nel 1935 vota contro il patto di collaborazione franco-sovietico, interrompendo così i suoi numerosi viaggi in Germania e allacciando contatti con gli oppositori.
Inizialmente Schuman non comprende la pericolosità di Hitler, non comprende la sua determinazione a portare la Germania e l’Europa alla guerra mondiale, e considera l’accordo di Monaco (1938) un accordo che può salvare la pace.
Dal 1936, Schuman è anche consigliere generale del dipartimento della Mosella.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel marzo del 1940 Schuman viene nominato sottosegretario per i rifugiati nel Governo Reynaud. Nei tre mesi successivi alla nomina coordina gli aiuti ai milioni di profughi che fuggono dai nazisti.
A maggio del 1940 si insedia il Governo Pétain che chiede l’armistizio alla Germania e si instaura il regime collaborazionista di Vichy. Schuman a sua insaputa è confermato sottosegretario e rassegna subito le dimissioni.
Il 14 settembre viene arrestato dalla Gestapo, è il primo parlamentare francese arrestato. In prigione passa sette mesi, i nazisti vorrebbero deportarlo nel campo di concentramento di Dachau, ma il procuratore tedesco della regione fa ottenere al deputato francese il soggiorno obbligato a Neustadt, in Germania
Nel 1942 evade e si rifugia a Lione. Entra nelle file della Resistenza partecipando successivamente alla fondazione del MRP (Movimento Repubblicano Popolare) che aderisce all’internazionale democratico-cristiana.
Finita la guerra viene eletto nelle due Assemblee Costituenti (1945 e 1946) e nel 1946 alla prima Assemblea Nazionale dove verrà sempre rieletto sino al 1962. Nel 1946 viene nominato ministro delle Finanze, Presidente del Consiglio nel 1947 carica che ricopre per circa un anno, dal 1948 fino al 1953 è ministro degli Esteri.
Come ministro degli Esteri è protagonista dei negoziati che si svolgono per la creazione del Consiglio d’Europa, della Nato, e della CECA.
Il Ministro è convinto del bisogno di superare la convinzione di molti di punire la Germania per i crimini commessi e per il sostegno al nazismo; le richieste di smembrando dello Stato tedesco vengono da più parti, lo smembramento per Schuman sarebbe stata una ripetizione degli errori commessi dopo la Prima guerra mondiale. È convinto, dunque, che inserire la Germania in un progetto unitario possa tenerla sotto controllo.
È proprio la CECA la più grande vittoria di Schuman, il piano viene lanciato il 9 maggio del 1950 su ispirazione di Jean Monnet. La “Dichiarazione Schuman pone le basi per la creazione di una federazione europea indispensabile per il mantenimento della pace in Europa. La prima tappa di questa federazione è l’alta autorità comune della produzione del carbone e dell’acciaio franco-tedesca, le materie prime più importanti. Francia e Germania con questo accordo avrebbero limitato la propria sovranità in favore di un’autorità comune.
Il 9 maggio del 1950 presenta al Consiglio dei Ministri il progetto, dopo aver ricevuto il consenso del cancelliere tedesco Adenauer. Viene approvato.
Il 10 maggio aderisce l’Italia. Nel 1951 il trattato istitutivo della CECA viene siglato da Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo (i Paesi allora guidati dai democratico-cristiani), entra in vigore nel 1952.
L’ultimo incarico governativo ricoperto da Schuman è quello di Ministro della giustizia (1955-1956)
Dal 19 marzo 1958 al 1960 Schuman è stato il primo presidente dell’Assemblea parlamentare europea, eletto all’unanimità.
Alla fine del suo mandato l’Assemblea parlamentare europea proclamò Schuman “padre dell’Europa”.

Dal 19 marzo 1958 al 1960 Schuman è stato il primo presidente dell’Assemblea parlamentare europea, eletto all’unanimità. Alla fine del suo mandato l’Assemblea parlamentare europea proclamò Schuman “padre dell’Europa”.

Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Festa dell’Europa, è stata scelta questa data proprio per ricordare il primo mattone che segna l’inizio del processo d’integrazione europea con l’obiettivo di una futura unione federale.